La problematica del trattamento fiscale delle entrate derivanti dalla cessione dei diritti sulle prestazioni degli atleti dilettanti è causata dalla disciplina del c.d. vincolo sportivo.
Con tale termine ci si riferisce all’istituto, presente nell’ordinamento sportivo, che consente ad una società o associazione sportiva di rinnovare, per un periodo determinato di stagioni sportive, il tesseramento di un atleta anche in assenza di suo esplicito assenso. Se, inizialmente, detto istituto era previsto che potesse durare per tutta la carriera di un atleta, oggi deve necessariamente avere una durata predeterminata, variabile a seconda della disciplina sportiva praticata.
L’esistenza del vincolo determina che il trasferimento dell’atleta, federalmente, possa avvenire solo tramite “nulla osta” da parte della società di origine che potrà essere a tempo determinato o indeterminato. Il rilascio di detto documento avviene, solitamente, a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte della nuova società in favore di quella di precedente tesseramento. L’ammontare di tale somma viene liberamente determinato tra le parti.
Molti sport hanno previsto, poi, che al termine del regime di vincolo la società di nuovo tesseramento debba versare una indennità in favore di quella di primo tesseramento. In questo caso l’importo, almeno nel suo ammontare massimo, è determinato dalla Federazione di appartenenza e, in alcuni casi viene versato alla stessa Federazione che poi lo storna alla società (vedi pallacanestro) oppure versato direttamente da una società all’altra (pallavolo).
Come comportarsi fiscalmente in questi casi? La strada più percorsa è quella che vede, nella cessione in presenza del suddetto vincolo, la cessione di un diritto, ossia quello all’utilizzo in esclusiva delle prestazioni dell’atleta, mentre nelle indennità versate alla fine di detto periodo, con determina federale dell’importo, una natura indennitaria per la crescita tecnica che il club ha consentito all’atleta trasferito e a risarcimento parziale degli investimenti su di lui effettuati dalla società di appartenenza.
In entrambi i casi, però, le somme sono, di norma, fiscalmente imponibili, sia ai fini Iva che ai fini delle imposte sui redditi.
Più in particolare, per regolarizzare la cessione, il soggetto cedente deve emettere fattura con Iva. L’aliquota da indicare in fattura è quella ordinaria.
Questo obbligo sussiste però per tutte le associazioni e le società sportive dilettantistiche, che abbiano o meno esercitato l’opzione per il regime forfettario (la 398/91), e per tutte le cessioni, a chiunque effettuate (tranne nel caso in cui la cessione avvenga ad una società sportiva dilettantistica; in questo caso la somma risulta esente dall’IVA). All’atto della liquidazione dell’imposta, le società ed associazioni sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime forfettario dovranno effettuare una detrazione forfettaria del 50% sull’imposta addebitata nella fattura di cessione del giocatore. In pratica, si versa la metà dell’imposta incassata.
Anche in caso di prestito si configura una prestazione corrispettiva (la cessione dell’atleta verso una somma di denaro predeterminata), e pertanto l’operazione deve essere assoggettata ad Iva e alle imposte sui redditi.
Si ricorda che, per le società e associazioni sportive che abbiano optato per la legge 398/91 l’eventuale plusvalenza derivante dalla cessione dei diritti sportivi dovrà essere tassata ai fini delle imposte sui redditi per intero, non godendo del coefficiente di redditività del 3%
Infine una nota sui compensi spettanti ad atleti professionisti in caso di cessioni: il Ministero ritiene che anche se calciatori e tecnici professionisti rinunciano a stipendi già maturati e non ancora corrisposti, la società sportiva/datore di lavoro sia comunque tenuta ad assolvere agli obblighi contributivi nei termini di legge con riferimento al trattamento retributivo complessivo non erogato stabilito nel contratto individuale, nonché a versare contributo al Fondo di accantonamento. Infine in riferimento alle modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro il Ministero ritiene che nel caso in cui si proceda a conciliazione e in tale sede il lavoratore rinunci alla corresponsione di importi retributivi peraltro individuati nell’apposito verbale ex art. 411 c.p.c. ,gli stessi non andranno indicati sul LUL.
Buongiorno, sono Alberto, seguo da sempre il vostro blog. la mia associazione nata dal 2013 ha aperto p.iva nel 2015 e oltre alle attiivtà per i nostri soci abbiamo iniziato a svolgere attività anche per enti.
mi è nato un dubbio: fra i nostri soci (e operatori) c'è anche un musicoterapista con p.iva regime de minimis che lavora in autonomia per vari servizi.
nel 2015 ha condotto delle attività di laboratorio musicale presso 3 scuole per conto della mia associazione e adesso dovrà essere pagato.
considerato però che le scuole sono piuttosto distanti dal suo luogo di residenza e anche dalla sede dell'associazione e il musicoterapista oltre aver utilizzato per gli spostamenti l'automobile di sua proprietà, ha anche acquistato del materiale anticipando le spese di tasca sua per conto dell'associazione ai fini di svolgere quelle attività, è corretto se emette regolare fattura e a parte (con allegato scontrini relativi ad acquisti effettuati e modulo richiesta rimborsi km con percorso svolto)gli eroghiamo un rimborso misto?
alberto
No, deve inserire tutto in fattura.
grazie per la risposta. il professionista di cui le parlavo però solitamente quando svolge attiivtà e fattura per cooperative sociali, poi a parte gli viene riconosciuto abitualmente un rimborso chilometrico documentato.
è da molto tempo che funziona così. per le associazioni cambia qualcosa rispetto alle cooperative sociali?
alberto
Direi di no.