Alcuni giornali stamattina ne parlavano come dell’Apocalisse. Fiumi di parole sono già stati e saranno scritti, tutti a dire che bisogna cambiare l’allenatore, cambiare questo giocatore con quell’altro, le lacrime di Buffon…
In Italia, si sa, siamo tutti un po’ CT della Nazionale. L’analisi tecnica è sicuramente un punto di lettura della situazione.
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Consideriamo i primi cinque sport italiani: il calcio con 1.100.000 praticanti, la pallavolo con 374.000 praticanti, il basket con 310.000 praticanti, il tennis con 306.000 praticanti e l’atletica leggera con 203.000 praticanti.
Il calcio ieri ci ha regalato il più grande fallimento degli ultimi 60 anni, l’atletica ce l’aveva già regalato a Pechino, il tennis non sforna un campione maschile dagli anni ’70, la nazionale di basket galleggia mediocremente e quella di pallavolo è ben lontana dai fasti del passato.
Ma se ci spostiamo un pochino dalla ribalta delle nazionali ci accorgiamo che in tutti questi sport il livello medio dei giocatori e dei tecnici che operano sia a livello nazionale ma soprattutto a livello regionale e provinciale si è abbassato notevolmente.
Per chi non è un addetto ai lavori o un esperto analista dello specifico sport questo potrebbe essere meno visibile perché le federazioni cercano in ogni modo di mascherarlo, ma per chi è dentro e vede tutti giorni quello che succede, magari da diverse decine d’anni, sa che la differenza rispetto al passato è abissale.
Lo sfogo di Sandro Pochesci sulla nazionale di calcio di qualche giorno fa, il cui video è diventato virale, non fa altro che spiegare, anche se in modo scomposto e non propriamente fine, perché la nazionale non andrà ai mondiali.
Se hai ancora qualche dubbio riguardo al fatto che lo sport italiano sia in declino basta fare una semplice ricerca su internet per andare a scoprire le ragioni per ogni singolo sport e per ogni singola federazione. E’ una cosa assodata, non voglio convincerti di questo, voglio solo aggiornarti sul fatto che la situazione è così un po’ in tutti gli sport.
Per completare il quadro della situazione tieni presente un altro dato: secondo l’ultimo report del CONI del 2015 il livello dei praticanti è probabilmente il più alto di sempre.
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Noi di TeamArtist lo stiamo ripetendo ormai diversi anni. Il problema principale sono le ASSOCIAZIONI e non gli schemi o le altre chiacchiere da bar.
La base tecnica dello sport italiano viene data ai giocatori all’interno delle associazioni. Ogni paese ha la sua associazione di basket, di pallavolo, di calcio ed è all’interno di queste che i bambini e i ragazzi svolgono l’attività fino a quando riescono ad emergere.
Se all’interno di queste associazioni trovano allenatori professionali decenti e persone competenti la possibilità che questi diventino dei giocatori di livello aumenta esponenzialmente.
Qualcuno potrebbe obiettare che con le generazioni di ragazzi di oggi è più difficile lavorare. Questa è una storia che non è nuova per chi ha una certa età. Ogni 10 anni qualcuno salta fuori dicendo che “con i ragazzi di oggi è più difficile lavorare rispetto a quelli di 10 anni fa”.
É sempre difficile lavorare con i ragazzi, però alla fine chi è in gamba il risultato lo porta a casa.
Dipende tutto dalla professionalità degli allenatori e dalle loro capacità! E’ ovvio che non si può insegnare a questi ragazzi come si insegnava trent’anni fa perché i tempi sono cambiati, ma questi ragazzi sono validi tanto quanto lo erano quelli di trent’anni fa.
Nei piccoli paesi si sente spesso dire quando si perde che in un certo paese non nascono bambini bravi come quelli del paese vicino. Ho sempre pensato e continuo a pensare che l’aria non cambi le qualità dei bambini, soprattutto se i due paesi sono uno di fianco all’altro e che forse la differenza la fa chi a questi ragazzi insegna, soprattutto se tutte le squadre di quel paese regolarmente perdono.
Il dato di fatto è che ci sono sempre meno allenatori professionisti e sempre più amatori. Ci sono sempre meno dirigenti professionisti e sempre più amatori. Ci sono sempre più amici e parenti nelle associazioni che persone professionali. Ma come mai in passato era diverso? Come mai le associazioni avevano i soldi e riuscivano a pagare figure professionali?
Fino a dieci anni fa circa i soldi arrivavano alle associazioni sportive piovendo dal cielo. Arrivavano una o più aziende profit che per loro interesse foraggiavano la società sportiva, che si trovava soldi liquidi a disposizione senza che l’associazione dovesse attivamente fare niente a parte una fattura.
Eh voilà i soldi c’erano e si poteva assumere un direttore sportivo professionale che gestiva un budget interessante con cui poteva pagare allenatori di livello.
In quegli anni molti allenatori hanno deciso di fare della loro passione un lavoro. Allora di soldi ne giravano, e questo era possibile.
Molti lavoravano part-time il mattino e nel pomeriggio si occupavano delle loro squadre guadagnando abbastanza per poter sopravvivere a volte anche molto bene. Allo stesso modo i giocatori venivano retribuiti sopra un certo livello e a 18 anni potevano decidere di giocare magari in serie intermedie per tanto tempo, contribuendo a mantenere un livello alto.
Oggi questo meccanismo si è rotto. Le aziende girano meno soldi alle associazioni. È la crisi, si dice, ma molto probabilmente è anche per il cambio di gestione fiscale legato a come questi soldi si muovono, ai controlli che ci sono, al fatto quindi che non è più per loro così conveniente farlo.
Di conseguenza le associazioni si sono trovate senza soldi e quindi nell’impossibilità di pagare queste figure che sono diventate estremamente costose per i risicati rendiconti.
Il risultato è che il livello della formazione è calato, inesorabilmente, inevitabilmente.
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La soluzione c’è. La soluzione è che bisogna smettere di pensare a un’associazione come a uno strumento per evadere le tasse, bisogna smettere di pensare a un’associazione come un gruppo di scappati di casa, bisogna smettere di non occuparsi di come la tua associazione possa generare nuove entrate e non basarsi tutta su sponsorizzazioni sempre più incerte.
Bisogna guardare la situazione per quello che è. L’associazione è a tutti gli effetti un’impresa che svolge un’attività in un ambito sociale delicato e che deve generare degli incassi.
Gestire un’associazione, almeno dal punto di vista strategico, non può essere molto diverso dal gestire una azienda.
Il presidente è un imprenditore e deve riuscire a garantire la disponibilità dei soldi necessari allo svolgimento di un’attività di alto livello (si spera) o quantomeno all’erogazione di un servizio decente, perché posso garantirti che spesso non è così.
Se le associazioni pensano di affidarsi ad amici e parenti e sopravvivere senza professionalità si sbagliano di grosso. Se le associazioni pensano di cavarsela solo chiedendo favori a studenti e pensionati che oggi hanno un po’ di tempo da dedicargli e domani non si sa, si sbagliano di grosso. Se le associazioni non costruiscono una base anche dirigenziale valida e pensano di durare nel tempo sbagliano di grosso.
Pensare di erogare un servizio mediocre, scadente e a volte scandaloso farà solo sì che molti ragazzi smetterano di praticare sport o non diventeranno mai dei veri atleti. Non credo che dare la colpa ai ragazzi e scaricare il barile sia una buona soluzione. Occorre che tutti ci facciamo un bell’esame di coscienza a cominciare dalla federazione il cui il livello dirigenziale è ben rappresentato sui giornali a partire dalla vicenda Tavecchio per arrivare ai commissariamenti ordinati dalla guardia di finanza. Come si può dare l’esempio alle associazioni se anche le federazioni sono in queste condizioni? Ma in Italia si perdona tutto… fino a che la nazionale non si qualifica al mondiale.
Nel frattempo noi di Teamartist combattiamo la nostra battaglia e continuiamo a spingere perché presidenti e dirigenti si formino e capiscano che come si è sempre fatto non può più funzionare.